Docenti troppo anziani e sottopagati. I dati OCSE e il commento di Anief
L’Italia investe per l’Istruzione il 4,2% del suo PIL: una media decisamente inferiore a quella OCSE del 5,1%. E in molti paesi europei, come la Svezia e la Danimarca, la quota è significativamente più alta, spesso superiore al 6%. Lo scrive oggi la stampa specializzata riportando i dati aggiornati di investimento dei Paesi che costituiscono l’Ocse.
I dati: insegnanti troppo anziani
Inoltre, gli insegnanti italiani tendono ad avere un’età avanzata, con il 60% dei docenti della scuola secondaria superiore che hanno 50 anni o più, e ricevono stipendi che sono solo il 69% di quelli di altri lavoratori con un livello di istruzione terziaria. Ciò pone l’Italia in una situazione di svantaggio per quanto riguarda l’attrattività della professione docente. Invece, sempre in media, nell’OCSE il 40% degli insegnanti ha più di 50 anni, e gli stipendi degli insegnanti variano significativamente, ma generalmente riflettono un rapporto più equo rispetto ad altre professioni con livello di istruzione comparabile. In alcuni paesi nordici, gli stipendi degli insegnanti sono competitivi e riflettono un alto valore sociale attribuito all’insegnamento. In conclusione, “l’investimento inferiore nella formazione e le condizioni meno favorevoli per gli insegnanti potrebbero influenzare la qualità dell’istruzione e la capacità del sistema educativo di attrarre e mantenere personale qualificato. Inoltre, l’età avanzata degli insegnanti potrebbe indicare sfide future in termini di rinnovamento del personale e adattamento alle nuove metodologie didattiche”.
La posizione di Anief
“Questi dati confermano che in Italia la spesa pubblica per la scuola rimane molto inferiore rispetto a quella destinata all’istruzione in altri Paesi – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – facendo risultare sempre più evidente il gap a livello di investimenti generali e di stipendi che continuano ad essere fortemente indietro anche rispetto alla sola inflazione. Oltre a questo è chiaro che occorre anche cambiare le politiche del reclutamento, assumendo in modo automatico il personale scolastico dopo due anni di supplenze, come indicato dalla Commissione Europea da tempo, ma a che cambiando le norme per l’uscita dal lavoro con ‘finestre’ specifiche per chi, come accade nella scuola, attorno ai 60 anni è costretto a rimanere in un ambiente professionale che comporta alti rischi di burnout”, conclude Pacifico.